Lupane, le due anime di padre J

Non è un luogo comune né tantomeno un un semplice modo di dire. Troppo spesso ci si dimentica della propria fortuna. Ci si dimentica che essere nati senza handicap di nessun genere nella parte ‘giusta’ del mondo è stato un puro caso. Ci si dimentica fino a quando non ci si imbatte in chi invece non ha avuto la medesima sorte. Anzi. C’è chi non solo è nato cieco, sordo, muto, con deficit mentali, ma è nato anche nel posto sbagliato. È nato nel sud del mondo, è nato in Africa.

Michelle quando non riesce ad esprimere ciò che vuole si arrabbia, tira la maglietta, gesticola. I grandi occhi scuri cambiano, diventano ancora più espressivi se possibile. Diventano la sua voce, una voce che non ha e non ha mai avuto perché nata muta.

Divenuta in pochi istanti l’ombra di Gabriele vorrebbe poter chiedere mille cose, raccontarne altrettante. Ma non ci riesce. Michelle è solo una delle centinaia di bambini accolti a Fatima Mission, Lupane, Zimbabwe. Bambini muti, ciechi, con deficit fisici o mentali o semplicemente giovani donne in difficoltà, abbandonate a se stesse. A dar loro una mano, una possibilità, una speranza, è padre J con i suoi aiutanti.

Non molto alto, carnagione olivastra, occhi chiari, una calma zen che riesce a trasmettere con la voce e il modo di fare, reduce da ben 8 attacchi di malaria, uno dei quali lo ha portato quasi alla morte. Padre Jerald, questo il nome per esteso, è di origine indiana. Ex sacerdote induista convertitosi al cattolicesimo per fare il missionario.

Durante il suo sacerdozio induista ha visto molte persone sofferenti nel suo paese e ha notato che la sua religione poco faceva per dar loro una mano. Il cattolicesimo, invece, era impegnato direttamente sul campo. Da li la decisione di convertirsi. Voleva essere utile ai suoi fratelli e alle sue sorelle. ‘In me convivono e convivranno sempre le due anime’ ha spiegato, ‘grazie alla loro interazione sono riuscito a capire meglio e l’una e l’altra religione’.

Al suo fianco una attempata suora di origini anglosassoni, Suor Clara, da 50 anni a Lupane. Suor Clara è indomita e instancabile. Nonostante l’età ancora insegna. Il suo pensiero sull’essere una missionaria proprio a Lupane è riassumibile in alcune sue affermazioni: se rinascessi rifarei tutto da capo, non cambierei nulla della mia vita così come non tornerei mai a casa.

Fatima è il miglior posto in cui morire. L’accoglienza offerta dai due religiosi non è assistenzialismo, non è solo un mantenimento. E’ soprattutto offrire un’alternativa, delle possibilità e delle prospettive attraverso l’istruzione. Tutti i bambini, o quasi, di Fatima Mission studiano. Anche i ciechi. Per chi non riesce a trascorrere tempo sui libri, c’è tantissimo amore, sentimento che gli stessi bimbi riescono a trasmettersi l’un l’altro e distribuiscono a piene mani a chi arriva. I più grandi aiutano i più piccoli, chi non ha impedimenti fisici aiuta chi ne ha. Nessuno è estraneo. Sono tutti fratelli. Una grandissima famiglia.

La missione è organizzata in diverse strutture sparse sul territorio. Da una parte la ‘casa parrocchiale’, se così si vuol chiamare, dimora dei religiosi. Appena fuori dal cancello di cinta un mulino, utilizzato anche dagli abitanti della zona, poco distante la chiesa. Dietro, la scuola e accanto i dormitori per ragazzi e ragazze.

Niente asfalto o cemento sulle strade, solo terra battuta. All’interno i dormitori sono organizzati in grandi camerate con letti a castello. Poca luce e niente servizi igienici. Questi si trovano all’esterno. Alla missione, come un pessimo filo rosso che unisce molte missioni africane, mancano i beni di prima necessità. Dalla corrente elettrica, offerta da un generatore che viene spento alle 22, all’acqua, faticosamente estratta da un pozzo, pochi libri e pochi fondi.

Per i generi alimentari la missione si autosostenta con la coltivazione dei campi e l’allevamento di maiali e altri animali. Tutto questo non turba eccessivamente la serenità collettiva. Una soluzione è sempre stata trovata e ancora si troverà. Non è rassegnazione, si chiama fede. Non sono solo i più piccoli ad avere trovato un riferimento nell’impegno di padre J. Molti sono gli adulti impegnati nei campi e negli allevamenti. Altrettanti sono quelli che si rivolgono al sacerdote per consigli o conforto.

Quando si dice che la felicità sta nelle piccole cose è vero. Per gli ospiti e gli studenti di Lupane è sufficiente lo stare assieme, correre a piedi nudi dietro ad un pallone che fugge liberamente per il cortile della scuola. Non ci sono squadre, non ci sono vincitori. Ci sono solo piccoli calciatori, sia maschi che femmine, che si divertono, che si rincorrono, che sembrano non aver bisogno di null’altro per avere un piccolo angolo di serenità.

Nonostante la distanza, il tempo trascorso, la voce di Michelle non si spegne. Continua a chiedere di capire e imparare e con lei le voci e gli sguardi di tutti i suoi compagni di viaggio.

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