Ventimiglia di umanità all’ennesima frontiera

Costante stato di guerra, reclutamento di bambini soldato, rapimenti, sparizioni improvvise, prigionia ingiustificata. Sono queste alcune delle storie che hanno varcato il cancello di ingresso del centro di accoglienza Caritas nei locali della parrocchia di San Antonio a Ventimiglia.

Ancora, una madre che ha visto perire tre dei suoi quattro figli durante il viaggio dall’Eritrea o un giovane di 20anni con più ossa rotte a causa di una caduta in mare. A parlare sono soprattutto i silenzi, le vicende taciute che si nascondono dietro la ritrosia di molte delle ragazze ospitate. La maggior parte si ferma solo pochi giorni, impossibile rompere il muro di diffidenza.

Molte parlano solo tra loro e non è una questione culturale o linguistica. Le più giovani, 17 anni mal contati, occhi vigili, sfoggiano sorrisi accattivanti per ottenere una mela in più o la possibilità di telefonare. 17anni sono pochi per avere quei sorrisi smaliziati sul viso.

A parlare è il silenzio sul viaggio che hanno affrontato. Le diciassettenni sono eritree. La sola cosa che dicono è che sono state in prigione in Libia per circa sei mesi. Sei mesi senza la possibilità di vedere la luce del sole. Poi più nulla. Solo sparute notizie raccolte da stralci di conversazione con due volontari del campo, anch’essi migranti, Adam e Ramhan, rispettivamente dal Sudan e dall’Afghanistan. Nella voce e negli occhi non c’è disperazione.

C’è determinazione. Quella stessa decisione che ha accompagnato Teghl, 15 anni dichiarati ma effettivi non più di 12, dall’Eritrea all’Italia, da solo, e che lo porterà in Germania dove non c’è nessuno ad aspettarlo. Questa e altre storie si raccontano tutti i giorni tra le pareti del campo delle Gianchette, della Chiesa di Sant’Antonio in via Tenda, a pochi chilometri dal campo della Croce Rossa.

Un flusso costante di persone che passano, quasi senza fermarsi se non per rifocillarsi, diretti in Francia, Germania, Olanda, Inghilterra e in qualsiasi altro paese possa offrire loro una possibilità. A San Antonio vengono accolti minori, famiglie e donne. Un porto anomalo sorto spontaneamente grazie all’iniziativa di un parroco, Don Rito Alvarez, che ha avuto supporto dai cittadini e dalla Caritas grazie al presidente Maurizio Marmo.

All’interno del centro gli ospiti trovano un pasto caldo e un posto letto nel dormitorio. Le regole sono semplici: rispetto e cooperazione. Rispetto per sè, verso gli altri e verso la struttura uscita indenne dalla gestione di 1.280 persone la scorsa estate. Cooperazione con i volontari e gli altri ospiti. E i volontari sono la spina dorsale del centro.

Sono numerosissimi quelli che si alternano di giorno in giorno. Si occupano di tutto. Dall’assistenza alla raccolta del cibo, dai vestiti alla preparazione dei pasti, della pulizia del campo per finire con le lezioni di italiano. Seguono poi, per quanto possibile, chi ha necessità di affiancamento per i documenti e chi vuole andare via.

Accanto a loro, acquisto recente, si trova un’avvocatessa per le questioni legali. Un’iniziativa anomala nata di getto e in un posto apparentemente non idoneo al sovraffollamento e all’accoglienza stessa. Ma non tutti i ventimigliesi condividono lo spirito di apertura.

Diversi sono stati e sono i dissensi sfociati in raccolte di firme e ingiurie nei confronti dei volontari. Allo stato attuale il campo della parrocchia si trova in un momento di relativa tranquillità ospitando una media di 40 persone al giorno. Calma che permette ai coordinatori di cercare soluzioni alle criticità esistenti e di prepararsi alla nuova grande ondata di arrivi che la maggior parte di loro si aspetta ad iniziare dal mese di marzo. Accanto a ciò esiste un’altra questione burocratica.

La struttura, in condizioni di normalità, non è adatta all’accoglienza per più di 40 persone. Lo sanno i gestori, lo sa il parroco, lo sa la Prefettura e lo sa il Comune che durante l’estate aveva emanato un’ordinanza di sgombero. La risoluzione di tale intoppo verte sul senso di responsabilità e di umanità dei ventimigliesi, oltre che sul concetto di sicurezza.

Al momento non esiste un’alternativa al centro di via Tenda. In caso di chiusura gli ospiti si ritroverebbero in strada. A fronte di ciò il buon senso suggerisce di lasciare le cose come stanno a meno di avere una valida soluzione altrettanto efficiente ed efficace.

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